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Immagine del redattoreAButtus

Vedo, non vedo.

Caro Diario,

mi viene da piangere. E’ la tragedia delle tragedie. L’ultima notizia che avrei voluto sentire in vita mia. Desidero sprofondare, trasferirmi lontano, cambiare amici, scuola, città, paese, continente, pianeta, universo. Mamma sorride. Sorride sempre quella… Dice che esagero, che non si noteranno neppure, che in pochissimo tempo mi ci abituerò io così come lo faranno gli altri. Solo che lei gli altri non li conosce e non può neanche immaginare la cattiveria che nascondono dentro. Già mi pare si sentirlo Diego che mi deride puntando il dito e sghignazzando assieme ai suoi stupidi compari di terza. Mi chiameranno quattrocchi, sgorbio, talpa, e chi più ne ha più ne metta.

E le mie amiche poi… Si truccano, non tutte, ma la gran parte. Si vestono alla moda, alcune, non certo io. Fanno le smorfie che a me non vengono e guardano i ragazzi, che a me non interessano.

Speravo di scamparla, ecco tutto.

Durante l’ultima visita mi ero impegnata con tutta me stessa per riuscire a leggere il tabellone che il dottore mi indicava con l’asticella. All’inizio andava tutto bene, procedevo spedita, mi sentivo sicura e carica. Ma quando le linee si sono fatte più sottili ecco che sono iniziati i problemi. Ho strizzato gli occhi fino a farli sottili sottili e nonostante questo le lettere proprio non riuscivo a vederle. Erano macchie sfocate su uno sfondo bianco e lucente, un dalmata senza nessun significato. Ho tentato di scorrere l’alfabeto col pensiero e abbinare la lettera più simile allo scarabocchio che guardavo. Il dottore faceva di sì con la testa e per un po’ ho creduto che la fortuna fosse dalla mia parte… Poi però, con la coda dell’occhio, ho visto mamma che si metteva le mani sul viso e scuoteva la testa, e lì mi è crollato il mondo addosso.

Diottria è la parola del giorno. Non so neanche che vuol dire. Leggo sul foglio del medico uno zero seguito da una virgola seguito da dei numeri. Dicono che mi manchi poco, come se poco o tanto facesse differenza, tanto dagli occhiali non scappo più. Già mi vedo con due cerchi attorno agli occhi, la nerd delle nerd, la secchiona che ora darà senso ai suoi bei voti.

E’ colpa del nonno. O di papà. Chiunque sia dei due poco importa, sono loro le talpe di famiglia che mi hanno attaccato questa malattia. Mamma li difende tirando in ballo la genetica che però non ho ancora studiato e quindi per me è solo una parola sconosciuta come tante altre. Per non odiarli me la prendo come me stessa e con la mia passione per la lettura. Dev’essere senz’altro quella la causa di tutto. Ho letto talmente tanti libri da quando ho imparato a farlo che ho sforzato i miei occhi fino al punto di renderli difettosi. Miopia pare si chiami, un altro vocabolo che finisce per IA, così come Diottria, mentre io vorrei soltanto che mi lasci stare e vada via.

Fatto sta che da vicino vedo quanto una lince, scorro le parole tra le pagine anche se sono così piccine da essere totalmente invisibili per tanti altri. Come per la nonna, che pare abbia il problema opposto al mio e per visualizzare i messaggi che le mando deve appoggiare il telefono su una mensola e fare almeno due passi indietro.

Invece io farei volentieri due passi in avanti. Potrei pregare la Profe di mettermi in primo banco, una secchiona in incognito che sta vicina alla lavagna pur di non indossare gli occhiali. E pure il cinema nelle prime file a mangiare pop-corn senza riflesso sulle lenti. E anche in casa, inginocchiata davanti alla TV dimezzando la distanza… Qualunque cosa pur di restare come sono e non dovermi travestire.

Le mie paure sono rivolte ai miei compagni e ai miei amici. Dovessi indossarli solo a casa non sarebbe poi un dramma. Per papà già lo so che sarei bella in ogni caso. Lo pensa sul serio, glielo leggo negli occhi, ma lui è lui, il suo parere vale poco perché sono sua figlia ed è offuscato dal bene che mi vuole (forse gli servirebbero degli occhiali speciali con le lenti sincere e obiettive). Mamma men che meno, punto e a capo. Mi guarda e sospira, neanche fosse innamorata di me. Per ultimo mio fratello, dispettoso e pestifero, ma che sono certa saprò gestire.

E’ la scuola il dramma vero e proprio. E manca solo un mese prima del suo inizio. Apparirò in classe e mi sentirò protagonista al centro della scena, con tanto di faro puntato contro. Gli occhiali risalteranno sopra qualunque altra cosa, proprio come una patacca di unto sulla maglietta da cui non si riesce a spostare lo sguardo. Vedrò i miei compagni avvicinarsi l’un l’altro con la mano sulla bocca e sussurrarsi a vicenda all’orecchio, sarò vittima dei loro sorrisetti scemi e delle battute che sto già raccogliendo nella testa e per le quali mi offendo solo a pensarci.

Non ho un ragazzo che mi piace. Almeno quello. L’unica fortuna che ho dalla mia. Anche se forse uno c’è, ma nominarlo non lo faccio neanche con te, caro diario, perché non si sa mai e perché in fin dei conti, non lo so. Non lo so che cos’è. E’ qualcosa che ha a che fare con la pancia che brontola e si muove, con le guance che si scaldano e il respiro strano e irregolare.

Ok, ok. Forse lo so che significa, ma dargli un nome è pericoloso e non mi sento pronta.

A pensarci meglio un paio di occhiali cascano a fagiolo. Potrò continuare a sognare da lontano, tanto, quel ragazzo di seconda, lo vedrò bene da ogni angolazione.




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