Ci si prepara, involontariamente e inconsciamente. Nella mente si imbastiscono le conversazioni che s’immagina avverranno, le si condisce con le proprie argomentazioni e ci si improvvisa sceneggiatori di un film che si vorrebbe vivere, di una discussione dalla quale vorremmo uscire vincitori.
Perché si sia soliti farlo è un mistero. Lo considero un’inutile, oltre che deleteria, fatica mentale. E averne coscienza non mi permette comunque di bloccare le velleità del mio cervello che analizza, che produce, che muove gli ingranaggi delle mie sinapsi.
Mi sono ritrovato stanco, quasi stremato, traboccante di scenari differenti e di risposte preconfezionate. Sotto la doccia, durante la colazione, mentre camminavo con le mani in tasca e il capo chino, la mia anima prendeva il largo e si manifestava nel locale dove ci saremmo incontrati insieme. I personaggi erano stati schierati come pedine su di una scacchiera, reagivano alle mie asserzioni imbrigliati dai dettami dei miei pensieri. Conversavamo botta e risposta, io pronto a dar voce alle mie tesi, loro succubi e in difetto, irrimediabilmente compromessi e colpevoli.
Ma non è così che è andata.
Ho letto negli occhi di entrambi, di Dario e di Gloria, un amore sincero. Gli sguardi d’intesa e d’affetto che si scambiavano erano carichi di significato. Prevedevo fosse lì il dolore, nell’assistere impotente alla complicità che i due avevano costruito, quella in cui io stesso mi ero rifugiato nel mio di momento, quando le pupille di Gloria si rimpicciolivano nel mettere a fuoco me anziché lui e si illuminavano fino a brillare.
Invece è stato meno drammatico del previsto. Come se il torturarmi in attesa di questo incontro sia servito a cicatrizzare le ferite nel mio cuore e ad anestetizzare i sensi di colpa e i rimpianti inquilini del mio spirito.
Si sposeranno in primavera.
Volevano che fossi il primo a saperlo. Una premura che odorava di riscatto e di vendetta, ma che si è rivelato avere una fragranza più lieve, una pacifica fine delle ostilità, un addio alle armi per ricominciare da capo.
Reagimmo male entrambi quando Gloria perse il bambino. Ai suoi pianti inconsolabili e al mio più totale smarrimento, si unì lo spettro di un rapporto scricchiolante e destinato a spegnersi da lì in poco tempo. I miei genitori, così come quelli di lei, non riuscirono a trattenere lo sconforto che seguì l’aborto, avvolgendoci con una nociva negatività che ci oppresse a tal punto da farci sentire ingabbiati e ci spinse l’uno lontano dall’altra, come due magneti che si contrappongono e rifiutano di stare assieme. E infine il dramma che avrebbe dovuto forgiare il nostro amore e unirci indissolubilmente finì col sancire la nostra fine.
Prendo la via di casa stringendomi nelle spalle e sollevando sul collo il bavero della giacca. Il mio commiato è stato a dir poco teatrale. Ho stretto la mano di Dario come se l’elettricità del contatto potesse parlare al mio posto, l’ho guardato fisso negli occhi e annuito facendo sì che quel gesto sancisse il mio tacito benestare alla loro unione. Con Gloria un abbraccio. Il suo indimenticabile profumo di vaniglia mi è penetrato dentro, in profondità. Ha raggiunto quelle corde che suonavano nel mio petto quand’eravamo felici e che si sono silenziate con il nostro epilogo. Ho trattenuto le lacrime a stento, mantenendo la stretta attorno alle spalle della mia ex per ricacciarle indietro, inaridirle come sono state in tutti questi ultimi anni.
Estraggo dalla tasca del giubbotto gli auricolari e me l’infilo nelle orecchie. Scelgo della musica dal telefono scorrendo le canzoni una per una fino a trovare quella calzante al mio stato d’animo irrequieto e incattivito, quella che dovrà cadenzare i miei passi dando ritmo al mio cammino.
E’ buio pesto ormai, le giornate sono sempre più corte e la notte cala insensibile e veloce. Sento l’aria frizzante scivolarmi sul viso, l’odore delle prime nevi mi entra impunemente nelle narici. I castagni ingialliti che costeggiano la strada hanno pavimentato l’asfalto come una coperta naturale. Alcune foglie si staccano al mio passare, mi sfiorano raggiungendo le altre e io comincio a contarle per ingannare i pensieri che sgomitano per emergermi in testa... Ma è fatica sprecata.
Percorro il viale seguendo la mia ombra che si accorcia e si allunga sotto la luce calda dei lampioni, sembra un corpo che si nutre di se stesso, che s’insegue per mordersi la coda, per inghiottirsi in un circolo perpetuo e nefasto.
Gloria si sposerà.
Io invece rimbalzo da un flirt a un altro senza trovare pace. Come un sassolino in un torrente, talmente piccolo e leggero da venir continuamente sconvolto dalla forza della corrente, incapace di placarsi perché privo di sostanza.
E’ incredibilmente carica di colori la notte. Sono tonalità lucenti e accecanti, il rosso del semaforo è una palla infuocata che mi blocca sulle zebre. I fari delle poche auto che scorrono sono bianche saette parallele. Le insegne di bar, delle farmacie, delle banche, dipingono il buio fluorescenti e baluginanti.
Tiro fuori una mano dalla tasca, la apro e rivolgo il palmo verso il viso. L’osservo vuota, e fredda, e screpolata. Chiudo gli occhi per sentire il calore di un passato mai dimenticato, quello con la donna che ho perduto miseramente e per la quale non ho lottato quando avrei dovuto farlo.
Forse un giorno saprò rialzarmi.
Forse un giorno...
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