Poche briciole di pane. Sono bastate poche briciole di pane questa volta. Nunzio le ha fatte cadere per terra scrollandosele dal ventre con scenografici colpi di mano, e queste poche briciole di pane si sono depositate sulle piastrelle sotto il tavolo. Una cosa da niente, mi verrebbe da dire, una sciocchezza di poco conto, come una ditata su un vetro o una macchia sulla tovaglia, ma goccia dopo goccia anche le inezie che un tempo si superavano col sorriso sono diventate affronti e motivo di litigio.
«Te ne freghi che io passi tutto il giorno a pulire.»
«Quante storie, mica ti ho ripresa quando hai lasciato i piatti nel lavello.»
«Lo stai facendo ora. Aspettavi solo il momento giusto per rinfacciarmelo.»
«Non l’avrei fatto, ma te le cerchi.»
«Tira su quelle briciole! Non sono la tua serva!»
Presenzio impotente a questo scambio di colpi neanche fossi la spettatrice di un torneo di tennis. Un tempo, agli inizi del mio trasloco a casa loro, Nunzio e Gloria avevano cura di inghiottire i malumori affinché non vi assistessi per discuterne poi in separata sede, sottovoce poco prima di lavarsi i denti o fintanto rassettavano la cucina dopo i pasti. Col passare dei mesi però la mia presenza ha assunto connotati diversi e da madre e suocera di cui prendersi cura e a cui voler bene, mi sono trasformata in una statua in carne e ossa che funge da ingombrante ornamento. Le mie condizioni fisiche non mi permettono di svicolare. Resto bloccata sulla sedia con i muscoli che non reagiscono ad aspettare qualcuno che mi faccia la grazia di condurmi altrove. Eppure, nonostante il corpo abbia smesso di reagire e sia diventata un’inservibile zavorra per i miei cari, la mia testa funziona a pieno regime. Non è capace di far muovere gli arti, quello no. Produce pensieri come una fucina, senza sosta. Ora che non gli resta che questo tra l’altro, lo fa perfino con maggiore intensità di prima.
Avere il fisico inerme e il cervello in fermento è una vera fregatura. I sogni si formano comunque, ma non si può realizzare un bel niente. Quello che mi fa imbestialire è il non poter scegliere cosa fare di me stessa. Vorrei riuscire ad addormentarmi e lasciarmi andare, spegnermi nel sonno e trapassare finalmente, ma a dispetto dei miei voleri il cuore continua a battere, i polmoni a far aria e il sangue a circolare. Non posso neppure chiedere a mio figlio di soffocarmi con un cuscino dato che ho smesso di parlare e le mie labbra sono secche appendici che non producono suoni, né lanciarmi nel vuoto da un finestra visto il mio stato. Inoltre entrambe le situazioni avrebbero un nome, omicidio la prima, suicidio la seconda. Non è giusto. Si dovrebbe poter scegliere quando e come morire. E’ libero arbitrio. Una persona lo sa quando è meglio alzare i tacchi, una persona può essere stanca di vivere, una persona dovrebbe avere il diritto di arrendersi.
Gloria è una donna d’oro, una gemma rara in una miniera di zirconi. Il come sia riuscito Nunzio a conquistarla è una domanda cui non riesco ancora a rispondere. Mio figlio è un bonaccione senza troppo acume, ha il cuore tenero e modi gentili, ma pecca in senso pratico e si perde in un bicchier d’acqua nelle cose spicce della vita. Lei invece… Lei sì che è un forza della natura, tenace e risoluta, organizzata e puntigliosa, attiva e intelligente. Sono tessere di un mosaico che andrebbero posizionate agli antipodi, ma che per qualche scherzo del destino si sono trovate e innamorate. Li lega un amore sincero che mi addolora notare come un suppellettile di poco conto posizionato in un angolo. Leggo il loro sentimento attraverso gli occhi di Nunzio, che non appena Gloria si volta immusonita la segue con uno sguardo carico di affetto e traboccante di parole non espresse. E lo stesso noto in lei, nella bocca semiaperta, pronta a pronunciare le parole gentili rimaste incastrate tra i denti neanche fossero chicchi di riso.
Il momento lieto l’ho la sera. Mezz’ora, quaranta minuti o giù di lì, durante i quali uno dei due mi si siede vicino con un libro tra le mani e legge per tutti. Mi rendono partecipe delle storie tra le pagine, rendono partecipe il partner che finge malamente di non ascoltare. Per me udirne la voce, godere del fruscio della carta tra le dita, è un toccasana. E’ l’unico lasso di tempo in cui sento che mi viene donata un’azione in quanto persona e riesco a fuggire allo stato catatonico e umiliate dell’essere imboccata, lavata, spogliata e vestita, mossa come marionetta organica che non ne vuole sapere di tirare le cuoia.
Sento che anche per Nunzio, così come per Gloria, il momento della lettura è benefico e salvifico. Ritraggono le unghie, sotterrano l’ascia di guerra, e tra quello dei due che regge il libro leggendone il contenuto e quello che ascolta si sancisce una tregua che mi scalda il cuore.
E’ lì incontro il fine ultimo della mia esistenza, lasciare questa terra conscia che l’amore arde ancora e che la mia ingombrante, statica presenza, sia stata solo una nuvola passeggera e che presto (me lo sento nelle ossa) tornerà il sereno.
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