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Immagine del redattoreAButtus

NataleaMare

E così ecco il mare.

Oltre questa distesa d’acqua c’è l’Italia. Non riesco a vederla nonostante siano tante le braccia protese che la indicano. Strizzo gli occhi e spingo lo sguardo il più lontano possibile, ma l’orizzonte è una linea azzurra che si fonde con il cielo. Sento il cuore farsi subito pesante nel immaginarmi su un’imbarcazione lì in mezzo, a dondolare metro dopo metro sospinta dalle onde con mio figlio tra le braccia.

Lasciare il villaggio non è stato facile per Yasir. Come avrebbe potuto esserlo d’altronde? Ha cinque anni e un cuore immenso. So che non comprende il motivo per il quale abbiamo dovuto abbandonare ogni cosa, ma ciò non gli ha vietato di accettare la partenza con coraggio e abnegazione, con le lacrime trattenute per gli amici salutati, con il broncio mascherato dietro un sorriso fin troppo maturo e con gli occhi sgranati ad ammirare ogni piccolo particolare lungo la strada che gli auguro con tutta me stessa di non ripercorrere mai più nella vita.

Ora il mare. Fatico a sorridere nell’osservare mio figlio correre incontro alle onde che si spengono sul bagnasciuga. E’ un quadretto che dovrebbe suscitarmi tenerezza, ma che invece mi fa deglutire amara paura. Lo so bene quello che può succedere durante la traversata, tutti noi popolo di disperati lo sappiamo. Le notizie delle morti in mare, dei barconi alla deriva e dei sogni infranti hanno raggiunto ognuno di noi e sono racconti nefasti che abitano le bocche di chi ci vorrebbe fermare. Eppure le notti insonni, tempestate di incubi dopo l’uccisione del mio Hassan e il terrore che stessa sorte potesse capire anche a noi due, mi hanno mostrato un’unica via di salvezza. Il male minore che poi minore non è, ma che devo affrontare per il bene di Yasir e per offrirgli quella vita che spero migliore e più semplice.

Mollati gli ormeggi è il brontolio del motore l’unico suono che sento. Stipati sull’imbarcazione uno contro l’altro fino a occupare ogni piccolo spazio a disposizione c’è un’ansia tangibile. Gli occhi sbarrati sulla vastità del Mediterraneo e i cuori singhiozzanti. I respiri di tutti quanti noi sono spezzati, trattenuti quasi volessimo riprendere aria solo raggiunta la meta.

Nelle narici mi penetra la paura, è un miscuglio di odori che so non potrò mai più dimenticare, il puzzo dei nostri corpi sporchi e stremati, quello della benzina che si diffonde dalle taniche, quello dell’acqua salmastra. Proteggo come posso Yasir dagli schizzi gelati con cui le onde ci colpiscono. Lo cullo tra le braccia e lo copro di baci freddi per scaldarci entrambi.

Nei giorni antecedenti la partenza ho raccontato lui che in Italia sarà presto Natale.

«Che cos’è?» mi ha domandato Yasir con occhi affamati di curiosità.

«E’ una festa bellissima. Dove le persone stanno insieme e si vogliono bene. Le case vengono abbellite. Ci si scambia dei doni. Si decora un albero triangolare, che si chiama abete, con tante luci colorate che ricordano le stelle e si gioisce per la nascita di un bambino speciale.»

«Faremo anche noi il Natale?»

«Ma certo, piccolo mio», gli ho assicurato nel tentativo di convincere anche me stessa.

Perdo un battito di cuore quando mi accorgo del fermento che sta animando il barcone. Il rollio del motore ha tossito prima di cessare del tutto e acre fumo nero si alza in una nube di sventura. Il timoniere e i suoi uomini imprecano a tutta voce, spintonandosi l’un l’altro, scalciando furenti l’imbarcazione in panne. Attorno a me il brusio delle voci dei miei compagni di viaggio si fa più insistente e da debole lamento è mutato in un richiamo di aiuto, un’invocazione divina per una sorte nefasta, un grido che nessuno può sentire a parte noi.

Gli occhi di Yasir cercano i miei con bramosia, sento le ossa del suo corpo emaciato sotto strati e strati di vestiti tremare non più soltanto per il freddo, ma per l’egual terrore che legge negli occhi di chi ci sta vicino e si dispera. Lo cullo come posso, sussurrandogli parole soavi all’orecchio e promettendogli che andrà tutto bene.

Man mano che i minuti passano però anche il mio ultimo barlume di coraggio svanisce. Il dondolare dell’imbarcazione in avaria ci spinge lontano senza controllo. I pochi che posseggono un telefono si accorgono presto che chiamare aiuto è impossibile, che in mezzo al mare siamo soli e senza scampo. C’è chi piange accartocciato su sé stesso, che chi grida aiuto fino a straziare la voce. Io mi sforzo di isolarci in una bolla protettiva, tappo le orecchie di Yasir con le mani affinché non ascolti, gli oscuro lo sguardo tra i seni per fagli assistere allo sconforto dipinto sui visi e sommessamente inizio a cantare.

Altre donne si uniscono a me, ricacciano il magone in gola e mi accompagnano in un coro afflitto. Aspettiamo il nostro destino ora dopo ora, stretti in un abbraccio unanime per trattenere più possibile il calore dei corpi sferzati dal vento del nord e dall’acqua pungente.

Quando scende la sera, in questa notte improvvisa e senza luna, osservo le stelle e le inizio a contare. Inganno la fame e la sete salendo in cielo con anima e cuore. Yasir si è addormentato, stremato. Mi assicuro che rimanga caldo toccandogli il collo a intervalli regolari, baci freddi i miei sulla pelle di quel figlio che voglio sopravviva a questo naufragio nonostante tutto. Ma i brividi ora colgono la mia spina dorsale con maggiore insistenza, le lacrime vincono e non riesco a trattenerle. Ho paura della morte, ho paura di morire per prima e lasciare Yasir vigile in una stretta letale, temo di non riuscire a custodirlo lungo quest’ultima discesa.

«Mamma...» sussurra con voce esile e tremante.

«Dimmi, piccolo mio.»

«C’è un albero di Natale laggiù. Pieno di luci proprio come dicevi.»

Volgo la testa nel punto dove lui sta guardando e in lontananza ammiro i contorni di un natante della guardia costiera farsi più vicino. Le estremità piramidali brillano di rosso, di blu, di giallo e assumono la forma geometrica che ho descritto a mio figlio nel raccontargli del Natale. Il faro bianco al centro genera un fascio magico che ricorda la coda di una cometa. Il pianto ora è liberatorio e festoso.

Siamo salvi. Siamo vivi.

Buon Natale.



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