Le mirabili avventure del camionista Dagobert
- AButtus
- 5 dic 2020
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 6 dic 2020
Io l’ho avuto il piacere d’incontrarlo e sì, posso anche dire di essere suo amico. Con lui ho trascorso momenti lieti, seduti gambe penzoloni sul pianale del rimorchio a chiacchierare. Grazie alle sue parole ho riso e ho pianto, ho avuto paura e ho avuto gioia, sapeva parlare, lui, come nessun altro. Sapeva raccontare. Mi spiace per voi quindi, signori e signore, perché non avrete più la possibilità di conoscerlo. I suoi viaggi sono finiti ormai e, con loro, anche la sua leggenda. Il suo camion, bianco come la neve, è abbandonato in qualche solitario parcheggio che nessuno conosce, a riposare dopo gli innumerevoli chilometri percorsi. Chissà, forse l’avete scorto, mentre viaggiavate in autostrada diretti al lavoro. Forse l’avete avvistato, in sosta presso un’area di servizio dopo una notte trascorsa a macinare distanze su distanze. Forse l’avete notato sotto le rampe di qualche azienda d’Europa, intento a scaricare qualunque cosa. E se mai vi fosse capitato, allora ricorderete di sicuro il suo rimorchio a tre assi e il telone variopinto, del quale ogni colore, ogni disegno, ogni taglio, ogni cicatrice, racconta una storia diversa. Sto parlando del camionista Dagobert e quella che sto per riportare è una delle mirabili avventure che lui stesso, attorcigliandosi i folti baffi sulle dita paffute e masticando tabacco di dubbia provenienza, mi raccontò una sera che facemmo pausa assieme, in un’area pic-nic sulla B588 direzione Eggenfelden.
Quel giorno il camionista Dagobert superò il valico del Brennero, entrando in territorio austriaco, proprio quando la neve cominciò a scendere copiosa dal cielo. Accese i tergicristalli e proseguì fintanto che i pneumatici riuscirono a far presa sulla strada, ma dopo pochi chilometri fu costretto a fermarsi. Indossò la pettorina catarifrangente, che non si chiudeva attorno al suo ventre prominente e, con la pancia che gli dondolava sulla cintura e con un bel pezzo di tabacco incamerato in una guancia, scese dal camion e applaudì con vigore per scaldarsi le mani grandi e callose. Armeggiò con le catene antineve fischiettando un motivetto natalizio, finché non udì una vocina stridula provenire dalle sue ampie spalle.
“Salute a te, buon uomo. Ti serve aiuto?”
Il camionista Dagobert, accucciato per sistemare le catene sotto la ruota della motrice, quando vide chi aveva parlato cadde col sedere per terra. Di fronte a lui c’era un minuscolo ometto vestito di verde e di rosso, che indossava un cappello colorato dal quale pendevano tanti campanellini tintinnanti. Aveva le guance rosse e gli occhi vispi e se ne stava lì, con le braccia conserte ad aspettare una risposta.
“E tu chi diavolo sei?” chiese il camionista Dagobert.
“Mi chiamo Itty Bitty e sono un folletto, molto piacere” si presentò protendendo la minuta manina.
“Io sono Dagobert e sono un camionista” salutò superando lo shock iniziale. “Che ci fai a piedi in autostrada? Dov’è la tua auto?”
“Ti sembra verosimile che io possa guidare? Non arriverei neanche ai pedali tanto sono piccino, né a veder fuori dal parabrezza.”
“Mi sembra anche strano parlare con un folletto, ad essere sincero. Dev’essere colpa delle poche ore di sonno. A Bolzano mi hanno caricato tardi e il carico è urgente. Mai che ti facciano riposare un po’ quei dannati disponenti. Comunque non lo sai che non puoi andartene a spasso sull’autostrada? E’ vietato. Possono transitarci soltanto mezzi motorizzati. E neanche tutti, solo quelli che raggiungono una certa cilindrata.”
“Ed io che ne so? Sono un folletto, mica un dipendente della motorizzazione” scherzò Itty Bitty facendo ridere il camionista Dagobert a crepapelle.
“Ora scusami” disse l’omone infilandosi i guanti. “Devo montare le catene o resto bloccato fino a Natale.”
“Uuuu, a proposito di Natale, non è che mi daresti un passaggio?”
“Non potrei, ad essere sincero.”
“E ad essere bugiardo?”
“Nemmeno.”
“Non preoccuparti. Se ci ferma la stradale mi nascondo nel cassetto portaoggetti, tanto ci sto. Sono piccolo io.”
Dagobert acconsentì riluttante e tornò ad occuparsi delle gomme.
“Lascia che ti aiuti” si propose Itty Bitty.
“Va là, va là,” lo derise il camionista Dagobert, “sei troppo mingherlino. Sei basso più della ruota. E poi la catena pesa più di te, come potresti sollevarla? E’ un lavoro da uomini duri questo, non da mezze calzette.”
“Ok, fa niente. Volevo soltanto essere utile. Quanto tempo ti ci vorrà?”
“Beh, se stai zitto pochi minuti.”
“E se parlo?” sorrise il folletto.
Il camionista Dagobert si sforzò di ignorarlo per concentrarsi sul lavoro con le mani grassocce ed esperte. “Hai finito?” “No, ancora no.”
“E ora?” domandò ancora dopo pochi secondi.
“La vuoi smettere? Mi sto innervosendo.”
Fa freddo qui fuori.”
“Ma dai? Grazie per avermelo detto” commentò stizzito il camionista Dagobert.
“Veramente non te n’eri accorto?” domando stranito Itty Bitty. “Eppure i fiocchi sono belli grandi, come hai fai a non vederli? Guarda!”
“Se non stai zitto mi siedo sopra di te, ti avverto.”
“Che caratteraccio, non sarà facile sopportarti.”
Il camionista Dagobert squadrò il folletto e si tolse i guanti con fare minaccioso. “Sopportarmi?”
“Sì, ho intenzione di offrirti un carico.”
“E come intendi pagare? Sei così piccolo che non puoi avere molti soldi con te.”
“Infatti, non sarò io a pagarti, bensì il mio datore di lavoro.”
I due contrattarono per alcuni minuti sul prezzo al chilometro e quando trovarono l’accordo brindarono con una tazza di tè che il camionista Dagobert teneva al caldo in un termos sul cruscotto.
“Odio l’inverno,” disse l’autista finendo di sistemare il camion. “Primo, fa un freddo cane. Secondo, il camion fatica ad accendersi. Terzo, albeggia tardi e tramonta presto, ed a me non piace viaggiare col buio. Quarto, devo continuare a mettere e togliere queste maledette catene alle ruote.”
“Però c’è il Natale” cercò di consolarlo il folletto.
“Sì, e un po’ di ferie pure” sorrise il camionista Dagobert pragmatico. “Possiamo andare ora. Sali a bordo.”
“Ehm, non è che mi aiuteresti? Questi gradini sono giganti. Sono un folletto, mica un maestro del free climbing.”
Itty Bitty fu issato sul camion e adagiato sul sedile del passeggero. Era così corto che i suoi piedini non arrivavano neanche in fondo. Il camionista Dagobert prese posto al volante e, prima di rimettersi in viaggio, sintonizzò l’autoradio su una stazione che trasmetteva musica folk.
Prima di poter prendere in carico il lavoro offertogli dal folletto Dagobert dovette scaricare a Rottenacker, una località nelle vicinanze di Ulm, venticinque tonnellate di piastrelle. In centro paese poi, i due improbabili compagni, si presero il tempo per un pasto caldo in una Gasthaus, dove il camionista Dagobert trangugiò wurstel e crauti e il folletto piluccò delle briciole di pane.
“Allora? Dove si carica?”
“Guarda che sei già carico” disse Itty Bitty bevendo un succo di mela con una lunga cannuccia.
“Sicuro che stai bevendo solo succo?” domandò il camionista Dagobert arricciandosi i baffi con le dita.
“Oh sì che sei carico, con tanto di cinghie di fissaggio, barra fermacarico, piombo ai portelloni e documenti di trasporto.”
“Guarda che le bugie hanno le gambe corte e tu sei già abbastanza piccolo.”
Dopo aver pagato il conto, il camionista Dagobert, diffidente, e Itty Bitty, sorridente, uscirono dalla Gasthaus per recarsi al camion.
“E quello cos’è?” domandò l’omone notando un fiocco di neve di grosse dimensioni disegnato sulla parte posteriore del telone del rimorchio.
“Oh, non preoccuparti. E’ solo un marchio. Avvisa tutti per chi stai lavorando?”
“Ehi, ehi, ehi, questo non era negli accordi. Non sono mica una mucca, io.”
“Eh già, direi proprio di no. Altrimenti non avresti la patente.”
I due salirono sul camion, il folletto aiutato dalle grosse braccia del camionista Dagobert. Quest’ultimo, quindi, afferrò i documenti che si trovavano sul cruscotto e li studiò con attenzione.
“Finlandia, 99999, Korvatunturi, non ci sono mai stato. E di un po’, devo averti tra i piedi tutto il tempo?”
“Antipatico” sentenziò Itty Bitty.
“Il destinatario è un certo mister Claus. Santa Claus.” Il camionista Dagobert sgranò gli occhi. “E’ uno scherzo? Santa Claus? E’ un omonimo?”
“Oh no, è l’originale. L’unico e il solo. Babbo Natale per intenderci.”
“Senti, piccoletto, adesso mi stai stancando. Sanno tutti, a parte i bambini, che Babbo Natale non esiste.”
“Ne sei proprio sicuro? Saresti pronto a scommettere il tuo camion che il signor Claus è un personaggio di fantasia? Coraggio, qua la mano allora. Qualora avessi ragione io, e ce l’ho, mi tengo il camion, anche se non saprei che farmene. Se invece Babbo Natale non esiste, come dici tu, ti pago il triplo. Che ne dici?”
Il camionista Dagobert scosse la testa vigorosamente. Nessuno poteva scommettere sul suo mezzo di trasporto. Nessuno. Neanche un nanerottolo saltellante che indossava un cappello con i campanellini.
“Lasciamo perdere” propose il camionista Dagobert, riluttante. “Partiamo piuttosto?”
Rombante, la motrice morse l’asfalto e i due compagni iniziarono il viaggio.
Giunsero a Korvatunturi in cinque giorni, dopo aver preso il traghetto dalla Danimarca e attraversando l’intera Svezia.
“Ecco, siamo arrivati” annunciò Itty Bitty. “Puoi parcheggiare lì, accanto alla stalla.”
Il camionista Dagobert scese dal camion stringendosi nelle spalle e osservando rapito quando gli stava attorno. Circondata da mezzo metro di neve e da altissimi abeti rossi sorgeva una piccola casetta di legno. Dal comignolo fuoriusciva del fumo, che ondeggiava nell’aria fino a svanire tra le nuvole. Accanto uno steccato circondava un branco di renne, che si stavano sfamando con del fieno posto in un ampia mangiatoia.
“Ben arrivato, andato bene il viaggio?” salutò una voce profonda.
Era Santa Claus, con tanto di completo rosso e lunga barba innevata. Il camionista Dagobert si limitò ad annuire, incredulo.
“E’ andato benissimo, capo” s’intromise Itty Bitty annaspando nella neve. Dalla casetta uscirono un folto gruppo di folletti, anch’essi adorni di capelli tintinnanti. Accerchiarono il camion e aspettarono pazienti che il camionista Dagobert staccasse il piombo e aprisse il rimorchio in modo da permettergli di scaricare.
Aperti i portelloni una pioggia di buste colorate ricoprì l’autista da capo a piedi. “Eccole!” esultò Itty Bitty, “forza ragazzi, diamoci da fare.”
Cantando e saltellando i folletti iniziarono a trasportare il carico all’interno della casupola. Santa Claus si avvicinò al camionista Dagobert e lo aiutò a liberarsi della cascata che l’aveva colpito.
“Wow, una settimana in giro per l’Europa per delle semplici buste, non sono mica la posta io” osservò l’autista.
“Non sono semplici buste,” lo corresse Babbo Natale, “contengono sogni. Sogni veri e propri. Ti stupiresti nel sapere ciò che mi chiedono i bimbi di tutto il mondo. Tanti non chiedono un trenino, ma che il nonno guarisca, non chiedono un pallone, ma che una guerra abbia fine, non chiedono matite colorate, ma di non aver più fame, non chiedono un videogame, ma di non aver più paura, non chiedono un bambolotto, ma di non dover più piangere.”
“Ma sono tutte cose che lei non può dare, o mi sbaglio?”
“Oh no, non ti sbagli. Quello che posso donare io è la speranza, che è una delle forze più grandi al mondo.”
Il camionista Dagobert sorrise, aspettò che i folletti terminassero lo scarico del camion e, dopo essersi intascato l’assegno di pagamento, riprese la strada. Guidò per un paio di chilometri prima di accorgersi di una busta abbandonata sul sedile del passeggero. Fece inversione di marcia e tornò al casolare per consegnare la lettera dimenticata, ma quando vi arrivò trovò soltanto neve fino all’orizzonte. Niente più casetta, niente più renne, niente più folletti, niente più Santa Claus.
Scosso ed impaurito aprì la busta che le sue mani grassocce.

Caro Dagobert,
così oggi mi hai conosciuto, realizzando un sogno che magari avevi quand’eri bimbo. Sono come mi hai sempre immaginato? Beh, non ha importanza, quello che importa è quello che il mondo mi sta facendo diventare. Io non sono più un ciccione in tuta rossa che consegna doni passando per i camini. Non sono più un vecchio barbone che sorvola le città su di una slitta carica di sacchi. O meglio, non sono più solo quello. Il mondo mi sta dando decisamente troppa importanza. Mi stanno eleggendo, spodestando tradizioni ben più importanti e solenni. Sì, proprio così, parlo del Natale vero e proprio, quello contenuto in una mangiatoia, riscaldato da un bue e un asinello, amato dai genitori, annunciato dagli angeli, venerato dai pastori e visitato dai re magi. E’ a lui che va dato questo potere, quello di donare speranza, gioia e coraggio, non a me. Eppure il cinema, i libri, le canzoni, sempre più spesso parlano del panciuto supereroe volante che esaudisce i sogni dei bambini. Ecco quindi che mi rivolgo a te, camionista Dagobert. Così come tu mi hai consegnato le letterine colme d’amore dei bimbi di tutto il mondo, ecco che io a mia volta ti affido dei messaggi per gli adulti. Sì, è tutto vero. Sarai il mio corriere, Dagobert. Va per le città, svuota il tuo camion e riempi i cuori della gente.
Il tuo caro amico Claus.
Ecco signori e signori, così termina questa mirabile avventura e sì, sono stato scettico quanto voi, non posso negarlo. Eppure, viaggiando a mia volta, ho udito voci pronte a giurare di aver visto un omone in giubbino catarifrangente arrampicarsi sui campanili delle chiese, sulle teste delle statue, sulle sommità delle fontane e rovesciare sacchi ricolmi di biglietti nelle notti d’Europa. Si trattava di svolazzanti messaggi che toccavano il cuore e riscaldavano gli animi, buoni propositi e dolci consigli, incoraggiavano e rincuoravano…
E quel Natale…. Ah, quel Natale…
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