Svegliarsi con il cuore che batte all’impazzata non credo sia un buon segnale. Apro gli occhi sul buio della stanza, perché le tapparelle sono ancora abbassate e prendo un respiro lungo e pieno. Vorrei riaddormentarmi e fingere che l’estate non sia ancora finita e che la scuola non debba cominciare, ma so che sarebbe tutto inutile. Sono nervosa. Nervosa e felice al tempo stesso. Nervosa, felice e ansiosa, intimorita, spaventa, terrorizzata e un’infinità di altri aggettivi per descrivere questa tempesta di sensazioni che sento dentro e a cui non sono abituata.
Volgo la testa verso il corridoio. Lì la luce c’è. E il profumo del caffellatte pure. Sarà il primo della mia vita, una colazione da adulta, un altro passo in avanti nel mio diventar grande. Mamma e papà ripetono come un disco rotto che ci saranno cambiamenti e dovrò diventare più responsabile, e precisa e puntuale e ordinata. Lo dicono come se fossi stata una perfetta incapace fino a ieri, neanche uscissi dall’asilo, anziché dalle elementari. Il problema principale è che per certi versi, io, bimbetta, vorrei restarci ancora un po’, con tanto di coccole e moine.
Esco dal letto e stropicciandomi gli occhi mi dirigo in cucina. Compiere i primi passi sulle piastrelle fredde del corridoio sono come un secchio d’acqua gelata in pieno viso. Mi ritrovo pimpante all’istante, con il cuore che continua a pulsare quanto un tamburo nel mio petto e che non accenna a calmarsi.
Mamma mi sorride. E’ un sorriso strano, diverso. Mi accoglie con le braccia aperte e mi stringe a sé coprendomi di baci caldi. Dev’essere più agitata di quanto lo sia io, non c’è altra spiegazione. Seduta a tavola a sorseggiare questa bevanda nuova ma terribilmente amara, osservo mamma che schizza come una molla, che si affretta per gli angoli della casa incapace di star ferma. Se non ne fossi assolutamente certa, penserei che il primo giorno sia il suo anziché il mio.
Mi lavo e mi vesto. I vestiti li ho scelti con cura io stessa qualche giorno fa, e da qualche giorno fa fino ad ora sono rimasti ad aspettarmi su un lato della scrivania, come se lasciarli nell’armadio li avrebbe fatti scomparire.
Quando siamo pronte usciamo e saliamo in auto. Lungo il tragitto comincio a sentirmi sempre peggio, le mani sono fredde, ma sudaticce. Tento di tenermi occupata guardandomi attorno, leggo le insegne dei negozi su cigli delle strade di questo quartiere che prima non mi apparteneva, ma di cui con oggi diventerò parte.
Parcheggiamo e c’incamminiamo verso scuola. D’istinto cerco il braccio di mamma, mi ci attorciglio come l’edera, decisa a non lasciarla mai. Nella mia testa si accavallano i racconti che ho sentito da amici più grandi di me, dei fantomatici bulli che se la prendono coi più piccoli, dei prepotenti da temere e dei professori che se fossero realmente così come me li hanno descritti, sarebbero mostruosi. Scuoto la testa con forza, decisa a far piazza pulita di qualunque cosa; voglio riuscire a cancellare la lavagna dove ho disegnato questo giorno più e più volte e lasciarmi trascinare da quel che sarà, ma non è facile. Lo è ancora di meno ora che giunte all’ingresso mi scontro con gli occhi sbarrati sui volti dei miei ex compagni delle elementari. Scorro i loro visi uno per uno, leggendoci dentro le stesse emozioni che sto provando io, da grilli nello stomaco e picchi nel petto. Lascio mamma per un saluto veloce ai miei amici, giusto un rapido ciao per dire che ci sono anche io, che l’affrontiamo insieme, che magari essere ex compagni durerà solo fino a quando ci chiameranno nella stessa classe, o forse no, e saremo ex punto e basta.
Torno tra le braccia rassicuranti di mamma. Oltre ai miei amici ci sono i volti di ragazzini che non ho mai visto e a quel punto le domande sono rivolte a loro, per scoprire chi mi troverò nel banco vicino e immaginare chi riuscirò a farmi amico e chi no.
A spezzare la tensione è l’arrivo di un gruppo di insegnanti armati dell’elenco che tutti noi stiamo aspettando con ansia. Quella che segnerà il nostro destino per i prossimi tre anni scolastici e che è la lista alfabetica dei bambini divisi per sezione.
Senza troppi giri di parole una professoressa inizia a convocarci uno per uno. I primi di noi sembrano condannati a morte diretti al patibolo, piccoli e ingobbiti, sovrastati dalle emozioni. Ma il clima cambia non appena un amico viene chiamato per la stessa sezione e si diventa, inevitabilmente, l’uno il salvagente dell’altro.
Finite le classi i genitori sono schierati carichi di orgoglio. Ci osservano con gli occhi umidi che in queste occasioni non mancano mai e, come se avessimo guadato un fiume, ci salutano sorridenti con la mano.
Restiamo coi professori ora. Ci invitano a seguirli all’interno della struttura. Io mi volto per un ultimo sguardo verso mamma, mi fa un cenno con la testa. Equivale a un dolce abbraccio e deciso incoraggiamento. Le rispondo annuendo e apro i polmoni per un ampio respiro liberatorio. Pochi passi e sarò dentro, una manciata di secondi e sarà iniziata, qualche istante ancora e sarò una ragazzina delle medie.
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